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La Divisione Paracadutisti "Folgore"


La Divisione Paracadutisti Folgore, con la denominazione di copertura di 185a Divisione Cacciatori d'Africa, fu avviata verso il fronte dell'Africa Settentrionale a partire dalla metà di luglio del 1942, andando ad occupare l'estrema parte meridionale dello schieramento italotedesco, una zona compresa tra Deir el Munassib, a nord, e le alture di Qaret el Himeimat, a sud, confinanti con la grande depressione di Qattara.

Il suo organico comprendeva due reggimenti di fanteria paracadutista, il 186° (su tre battaglioni, 5°, 6° e 7°) e il 187° (su quattro battaglioni, 2°, 4°, 9° e 10°; successivamente, per le perdite subite, il 1Ob Btg. fu sciolto, inglobandone gli effettivi nel 9°), il 185° Reggimento Artiglieria Paracadutisti (su tre gruppi, l°, 2° e 3°, con pezzi anticarro da 47(32), l'8° Battaglione Guastatori Paracadutisti, compagnie cannoni reggimentali e compagnie divisionali autonome (mortai da 81, minatori-artieri, collegamenti) più servizi vari per un totale di circa 5.000 uomini.
I reparti furono distribuiti lungo la linea del fronte, alcuni alle dipendenze di altre unità, dislocate in zone limitrofe, ed entrarono subito in azione, nel quadro di una più generale offensiva delle forze dell'Asse, nota come "battaglia dei sei giorni" o "di Alam Halfa". L'attacco, che si protrasse dal 30 agosto al 3 settembre, non ottenne i risultati sperati e Rommel fu costretto ad ordinare il ripiegamento sulle linee di partenza.
Per la Folgore, invece, il bilancio dell'operazione fu assai positivo, sia per i particolari successi conseguiti (attacchi di pattuglie, colpi di mano nel vivo delle difese avversarie con cattura di prigionieri, armi e mezzi), sia soprattutto per il comportamento dei suoi uomini i quali, messi per la prima volta alla prova in battaglia, dimostravano di possedere in pieno quelle doti di combattività, coraggio e spirito di iniziativa che li avrebbero resi famosi.
Con l'inizio di settembre la Divisione aveva ricostituito la propria unità organica, col rientro di tutti i reparti nelle sue file. Il suo schieramento era articolato in quattro raggruppamenti tattici: Ruspoli (con i battaglioni 7° e 8° Guastatori) a nord, Bechi (2° e 4°) e Camosso (9° e 10°) al centro, Tantillo (5° e 6°) a sud. I tre gruppi di artiglieria, contratti a due (l ° e 3°), vennero assegnati organicamente ai quattro raggruppamenti col compito della difesa avanzata controcarro.

Alla fine del mese gli Inglesi tentarono di sfondare nel settore di Deir el Munassib. L'accanita difesa dei paracadutisti fece completamente fallire l'attacco e provocò al nemico ingenti perdite in uomini e mezzi. In quest'occasione gli uomini della Folgore adottarono sistematicamente una tattica che, già utilizzata sporadicamente nei combattimenti di fine agosto, diede ottimi risultati e si sarebbe rivelata la loro carta vincente nella futura battaglia di El Alamein.
Essa trovava la sua spiegazione nei rapporti di forza tra Italiani e Inglesi che erano talmente sproporzionati da non offrire alla Folgore, in teoria, alcuna speranza di poter resistere agli attacchi nemici.
L'8° Armata inglese aveva infatti schierato, nel settore meridionale, la 7° Divisione Corazzata (i famosi "Desert Rats", veterani di tante battaglie africane) e tre divisioni. di fanteria, per un totale di circa 50.000 uomini, con 400 pezzi d'artiglieria, 350 carri e 250 blindati.
Le scorte di munizioni, viveri ed equipaggiamenti erano poi praticamente illimitate.
Per contro gli Italiani disponevano di circa 3.500 paracadutisti, più altri 1.000 uomini non paracadutisti (310 Battaglione Guastatori d'Africa e un battaglione di fanteria della Divisione Pavia), una ottantina di pezzi d'artiglieria, 5 carri (tedeschi), nessun veicolo proprio, penuria assoluta di munizioni ed equipaggiamenti, viveri in quantità e qualità talmente misere da causare serie malattie debilitanti a più del 30% della forza effettiva.
In sintesi i rapporti di forza erano di l a 13 per gli uomini, l a 5 per le artiglierie, l a 70 per i carri. Alla Folgore non restava dunque che puntare tutto sul fattore psicologico, facendo valere le grandi doti morali dei suoi uomini, saldezza di spirito, capacità di adattarsi alle situazioni, tendenza a mantenere comunque l'iniziativa, oltre ad un coraggio fuori del comune, che non sconfinava però mai nella temerarietà, in quanto la principale preoccupazione di tutti i paracadutisti, dai comandanti agli ultimi gregari, fu sempre quella di limitare al massimo le perdite.
Le tattiche d'attacco inglesi presentavano sempre le stesse caratteristiche di estrema rigidità agli schemi studiati a tavolino, cioè prevedevano un iniziale forte tiro preparatorio d'artiglieria e poi, dopo l'allungamento del tiro, un'avanzata a ranghi serrati di formazioni molto consistenti di fanteria, precedute spesso dai carri.
I paracadutisti si opposero a questa tattica, sia rimanendo costantemente nelle proprie postazioni da combattimento non riparate durante il tiro di preparazione, per essere in grado di entrare immediatamente in azione al sopraggiungere delle truppe avversarie, sia aprendo il fuoco tutti contemporaneamente, alla minima distanza. Prima di far ciò, tuttavia, si lasciavano deliberatamente sopravanzare dal nemico, per sorprenderlo col fuoco incrociato delle armi automatiche sui fianchi e alle spalle.
In tal modo essi riuscivano a creare lo scompiglio tra gli attaccanti che, sebbene nettamente superiori in uomini e armamenti, venivano messi nella terribile condizione psicologica di non sentirsi protetti alle spalle.
Altra tattica apparentemente suicida, ma nella realtà ampiamente vincente, fu quella del "contrassalto preventivo", adottata per evitare lo scontro diretto all'arma bianca che avrebbe visto senz'altro prevalere il nemico. Quando gli attaccanti erano a poche decine di metri dalle postazioni italiane, i paracadutisti balzavano al contrattacco col lancio di bombe a mano, proprio nel momento in cui l'avversario era più vulnerabile. Approfittando poi della confusione creata dalla loro azione, riguadagnavano le postazioni di partenza.
In tal modo essi annullavano la forza d'impatto degli attaccanti, ne scompaginavano le fila ed influivano negativamente sul loro morale.
Si spiega così come riuscirono ad avere sempre la meglio contro forze anche dieci volte superiori e senza subire apprezzabili perdite.
Il contrassalto fu applicato anche negli scontri con i carri armati, utilizzando bottiglie incendiarie ed altri ordigni di fortuna che, se non erano in grado di bloccare totalmente l'avversario, riuscivano ugualmente a sorprenderlo e rallentarlo (anche i carristi inglesi subirono il negativo impatto psicologico di questi assalti, facendosi prendere dalla paura e dal disorientamento). Il vittorioso combattimento di Deir el Munassib del 30 settembre meritò alla Folgore la prima citazione sul bollettino di guerra italiano; la Divisione, in questa circostanza, riassumeva ufficialmente il proprio nome, abbandonando quello di copertura in quanto, con il suo eroico comportamento in battaglia, aveva già avuto modo di farsi ampiamente conoscere, e temere, dal nemico.

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