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IL
DISCORSO DI MONACO
Testo del discorso pronunciato da
Mussolini da Radio Monaco il 18 settembre 1943
Camicie nere! Italiani e Italiane!
Dopo un lungo silenzio, ecco che nuovamente vi giunge la mia voce e sono sicuro
che voi la riconoscerete; è la voce che vi ha chiamato a raccolta in momenti
difficili e ha celebrato con voi le giornate trionfali della Patria.
Ho tardato qualche giorno prima di indirizzarmi a voi, perché dopo un periodo di
isolamento morale, era necessario che riprendessi contatto col mondo.
La radio non ammette lunghi discorsi e per esser breve comincerò dal 25 luglio,
giorno in cui si verificò la più incredibile di tutte le avventure della mia
vita avventurosa.
Il colloquio col Re a villa Savoia durò venti minuti, forse anche meno. Ogni
discussione con lui era impossibile perché aveva già preso la sua decisione e il
punto culminante della crisi era imminente. E’ già accaduto in tempo di pace
come in tempo di guerra che un ministro sia congedato o che un comandante cada
in disgrazia. Ma è un fatto unico nella storia che un uomo che per venti anni ha
servito un Re con lealtà assoluta, dico assoluta, sia fatto arrestare sulla
soglia della casa privata di un Re, sia stato costretto a salire su
un’autoambulanza della Croce Rossa sotto il pretesto di salvarlo da una congiura
e sia stato condotto a una velocità vertiginosa da una caserma di carabinieri
all’altra.
Ebbi subito l’impressione che la protezione non era che un pretesto. Questa
impressione si rafforzò quando da Roma fui condotto a Ponza e successivamente mi
convinsi, attraverso le peregrinazioni da Ponza alla Maddalena e dalla Maddalena
al Gran Sasso, che il piano progettato contemplava la consegna della mia persona
al nemico. Avevo però la netta impressione, pure essendo completamente isolato
dal mondo, che il Fuhrer non mi avrebbe abbandonato. Goering mi mandò un
telegramma più che cameratesco, fraterno. Più tardi il Fuhrer mi fece pervenire
una edizione veramente monumentale delle opere di Nietzsche. La parola fedeltà
ha un significato profondo, inconfondibile, vorrei dire eterno nell’anima
tedesca. E’ la parola che nel collettivo e nell’individuale riassume il mondo
spirituale germanico.
Conosciute le condizioni dell’armistizio, non ebbi il minimo dubbio circa quanto
si nascondeva nel testo dell’articolo dodici. Del resto un alto funzionario mi
aveva detto: “Voi siete un ostaggio”. Nella notte dall’11 al 12 settembre feci
sapere che i nemici non mi avrebbero avuto vivo nelle loro mani. C’era nell’aria
limpida attorno all’imponente cima del monte una specie di aspettazione. Erano
le 14 quando vidi atterrare il primo aliante; poi successivamente altri; poi
squadre di uomini avanzarono verso il rifugio e vidi cessare ogni resistenza.
Dalle guardie che mi custodivano nessun colpo partì. Tutto era durato cinque
minuti. Questa impresa liberatrice, che rivela l’organizzazione e lo spirito di
iniziativa e di decisione tedeschi, rimarrà memorabile nella storia della guerra
e col tempo diventerà leggendaria.
Qui finisce il capitolo che potrebbe essere chiamato il mio dramma personale; ma
esso è ben trascurabile episodio di fronte alla spaventosa tragedia in cui il
Governo democratico, liberale, costituzionale del 25 luglio ha gettato l’intera
nazione. L’inguaribile ottimismo di molti italiani, anche fascisti, non credette
in un primo tempo che il Governo del 25 luglio avesse programmi così
catastrofici nei confronti del Partito, del Regime e della Nazione.
Oggi, davanti alle rovine, davanti alla guerra che continua, noi spettatori,
taluno vorrebbe sottilizzare per cercare formule di compromesso e attenuanti per
quanto riguarda le responsabilità, e quindi continuare nell’equivoco. Essi
sofisticano dinanzi al nuovo nome del Partito. Sono gli stessi pesi morti che
hanno sempre ritardato la marcia del Regime, che hanno sempre cercato di
sabotarne le realizzazioni sociali e gli sviluppi sul piano nazionale e
imperiale. Noi viceversa, mentre rivendichiamo le nostre responsabilità,
vogliamo precisare quelle degli altri, a cominciare dal Capo dello Stato, che,
essendosi scoperto e non avendo abdicato, come la maggioranza degli italiani si
attendeva, può e deve essere chiamato direttamente in causa.
E’ la sua dinastia che durante tutto il periodo della guerra, pure avendola il
Re dichiarata, è stata l’agente principale del disfattismo e della propaganda
antitedesca. Il suo disinteresse circa l’andamento della guerra, le prudenti,
non sempre prudenti, riserve mentali si prestavano a tutte le speculazioni del
nemico, mentre l’erede, che pure aveva voluto assumere il comando delle Armate
del sud, non è mai comparso sui campi di battaglia. Sono ora più che mai
convinto che Casa Savoia ha voluto preparare, organizzare, anche nei minimi
dettagli, il colpo di Stato, complice ed esecutore Badoglio, complici taluni
generali imbelli e imboscati e taluni invigliacchiti elementi del fascismo. Non
può esistere alcun dubbio che il Re ha autorizzato, subito dopo la mia cattura,
trattative per l’armistizio, trattative che forse erano già cominciate fra le
dinastie di Roma e di Londra. E’ stato il Re che ha consigliato i suoi complici
di ingannare nel modo più miserabile la Germania, smentendo anche dopo la firma
che trattative fossero in corso. E’ il complesso dinastico che ha preparato ed
eseguito la demolizione del fascismo, che pure vent’anni fa lo aveva salvato, e
creato l’impotente diversivo interno a base del ritorno allo Statuto del 1848 e
alla libertà protetta dallo stato d’assedio.
Quanto alle condizioni dell’armistizio, che dovevano essere generose, sono fra
le più dure che la storia ricordi. E’ il Re che non ha fatto obiezioni per
quanto riguardava la consegna della mia persona al nemico. E’ il Re che ha col
suo gesto, dettato dalla preoccupazione per l’avvenire della sua corona, creato
per l’Italia una situazione di caos, di vergogna e di miseria, che si riassume
nei seguenti termini: in tutti i continenti, dall’estrema Asia all’America, si
sa che cosa significhi tener fede ai patti da parte di Casa Savoia. Gli stessi
nemici, ora che abbiamo accettato la vergognosa capitolazione, non ci nascondono
il loro disprezzo. Né potrebbe accadere diversamente. L’Inghilterra, ad esempio,
che nessuno pensava di attaccare e specialmente il Fuhrer non pensava di farlo,
è scesa in campo, secondo le affermazioni di Churchill, per la parola data alla
Polonia.
D’ora innanzi può accadere che, specie nei rapporti privati, ogni italiano sia
sospettato. Se tutto ciò portasse conseguenze solo su persone responsabili, il
male non sarebbe grave; ma non bisogna farsi illusioni: esso deve essere
scontato dal popolo italiano dal primo all’ultimo dei suoi cittadini.
Dopo l’onore compromesso, abbiamo perduto, oltre ai territori metropolitani
occupati e saccheggiati dal nemico, anche, e forse per sempre, tutte le nostre
posizioni adriatiche, ioniche, egee, francesi, che avevamo conquistato non senza
sacrifici di sangue.
Il Regio Esercito si è quasi ovunque rapidamente sbandato e niente è più
umiliante che essere disarmati da un alleato tradito, fra lo scherno delle
popolazioni locali. Questa umiliazioni deve essere stata soprattutto sanguinosa
per quegli ufficiali e soldati che si erano battuti da valorosi accanto ai
tedeschi in tanti campi di battaglia. Negli stessi cimiteri di Africa e di
Russia, dove i soldati italiani e tedeschi riposano insieme dopo l’ultimo
combattimento, deve essere stato sentito il peso di questa ignominia.
La Regia Marina, costruita tutta durante il ventennio fascista, si è consegnata
al nemico in quella Malta che costituiva e più ancora costituirà una minaccia
permanente contro l’Italia e un caposaldo dell’imperialismo inglese nel
Mediterraneo.
Solo l’Aviazione ha potuto salvare buona parte dei suoi materiali; ma anche essa
è praticamente disorganizzata.
Queste sono le responsabilità indiscutibili, documentate anche dal Fuhrer, il
quale ha narrato ora per ora l’inganno teso alla Germania, inganno rafforzato
dai micidiali bombardamenti, che gli angloamericani, d’accordo con Badoglio,
hanno continuato, malgrado la firma dell’armistizio, contro grandi e piccole
città dell’Italia centrale.
Date queste condizioni, non è il Regime che ha tradito la Monarchia, ma è la
Monarchia che ha tradito il Regime, anche se oggi è decaduta nella coscienza e
nel cuore del popolo; ed è semplicemente assurdo supporre che ciò possa
minimamente compromettere la compagine unitaria del popolo italiano. Quando una
monarchia manca a quelli che sono i suoi compiti, essa perde ogni ragione di
vita. Quanto alle tradizioni ce ne sono più di repubblicane che di monarchiche.
Più che dai monarchici, la libertà e l’indipendenza dell’Italia furono volute
dalla corrente repubblicana e dal suo più puro e grande apostolo Giuseppe
Mazzini. Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso
più alto della parola, sarà cioè fascista risalendo così alle nostre origini.
Nell’attesa che il movimento si sviluppi sino a diventare irresistibile, i
nostri postulati sono i seguenti:
1 – Riprendere le armi a fianco della Germania, del Giappone e degli altri
alleati. Solo il sangue può cancellare una pagina così obbrobriosa nella storia
della Patria.
2 - Preparare senza indugio la riorganizzazione delle nostre Forze Armate
attorno alle formazioni della Milizia. Solo chi è animato da una fede e combatte
per un’idea non misura l’entità dei sacrifici.
3 - Eliminare i traditori; in particolar modo quelli che sino alle ore 21,30 del
25 luglio militavano, talora da parecchi anni, nel Partito e sono passati nelle
file del nemico.
4 - Annientare le plutocrazie parassitarie e fare del lavoro finalmente il
soggetto dell’economia e la base infrangibile dello Stato.
Camicie nere fedeli di tutta Italia !
Io vi chiamo nuovamente al lavoro e alle armi. L’esultanza del nemico per la
capitolazione dell’Italia non significa che esso abbia già la vittoria nel
pugno, poiché i due grandi imperi, Germania e Giappone, non capitoleranno mai.
Voi squadristi ricostituite i vostri battaglioni, che hanno compiuto eroiche
gesta; voi giovani fascisti inquadratevi nelle divisioni che devono rinnovare
sul suolo della Patria le gloriose imprese di Bir-el-Gobi; voi aviatori tornate
accanto ai camerati tedeschi, al vostro posto di pilotaggio, per rendere
vana e dura l’azione nemica sulle nostre città; voi donne fasciste riprendete la
vostra opera di assistenza morale e materiale così necessaria al popolo.
Contadini, operai e piccoli impiegati !
Lo Stato che uscirà da questo immane travaglio sarà il vostro; come tale lo
difenderete contro chiunque sogni ritorni impossibili.
La nostra volontà, il nostro coraggio, la nostra fede ridaranno all’Italia il
suo volto, il suo avvenire, la sua possibilità di vita e il suo posto nel mondo.
Più che una speranza, questa deve essere per voi tutti una suprema certezza.
Viva l’Italia ! Viva il Partito Fascista Repubblicano !
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