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60° Anniversario dei fatti d'arme di Case Grizzano


In occasione della ricorrenza, l'Associazione Nazionale Nembo ha realizzato nei giorni 15-16-17 aprile una mostra fotografica - documentale sul 183° Nembo.

L'allestimento è stato messo a punto nelle sale del Centro Civico Comunale di Cervignano del Friuli, rese disponibili dal Sindaco Pietro Paviotti. Una consistente affluenza di visitatori ha gratificato l'iniziativa.
Sabato 16 aprile, poi, ha avuto luogo la cerimonia dinanzi al Monumento ai Caduti del Nembo, presente l'On. Prore Lanfranco ZUCALLI, M.B.V.M. di Case Grizzano, che è intervenuto con parole che hanno intimamente commosso i presenti richiamando una pagina da lui scritta per la rivista "Folgore", che di seguito desidero riproporre alla riflessione di tutti:

"19 APRILE 1945. Si è combattuto tra reparti del Gruppo di Combattimento Folgore e paracadutisti tedeschi per il possesso di due case (Case Grizzano) su una delle ultime alture a monte Castel San Pietro sulla Via Emilia ad una decina di chilometri da Bologna. Sulla Via Emilia si andava svolgendo l'avanzata della VIII° Armata ed i tedeschi si ritiravano alla ricerca di superare il Po e raggiungere i confini del loro Paese.

Ormai la guerra appariva decisa, eppure a Case Grizzano si combatté con tenace valore da una parte e dall'altra. Ci furono per gli uni e per gli altri perdite altissime in rapporto al numero degli uomini impegnati nel combattimento.

Quale significato per gli italiani e per i tedeschi rappresentava l'esito di questo scontro? Sul piano militare poco o niente. Infatti, la notte successiva, i tedeschi abbandonarono la posizione per raggiungere i loro reparti in ritirata e i comandi della VIII° Armata non ritennero, "cadute Case Grizzano", di dare l'ordine al Folgore di avanzare per contrastare la ritirata tedesca ormai in pieno svolgimento al di là di Castel San Pietro.

Eppure una ventina di giovani italiani che morirono a Case Grizzano e probabilmente altrettanti giovani tra i paracadutisti tedeschi, non morirono invano.

Per i tedeschi (e questa è stata l'esplicita dichiarazione di uno dei pochi prigionieri che in quell'occasione caddero in mani italiane) valeva la volontà di essere fedeli al giuramento fatto d'essere essi, i paracadutisti della lA Divisione Grùnenteufel (Diavoli Verdi) che avevano combattuto a Narwik, a Creta, in Russia, in Africa, a Montecassino, l'ultimo reparto del Reich a deporre le armi.

E che questo fosse lo spirito che li animava è confermato dalla fuga di un loro medico che, fatto prigioniero, era rimasto con noi alcune ore, trattato come un amico con il quale si era scherzato e con il quale avevamo diviso i pochi viveri di conforto che avevamo con noi, e che pure, mentre veniva accompagnato al Comando di Battaglione, ritenne di approfittare di un bombardamento di fumogeni per salutare il nostro militare di scorta con un amichevole Auf wiedersen e andare a raggiungere i suoi compagni per affrontare con loro una rischiosa ritirata.

Per noi rischiare e per molti perdere la vita, credo, fosse una questione d'orgoglio. Eravamo i fratelli dei paracadutisti di El Alamein. Eravamo uno dei pochi e ci ritenevamo "il migliore" dei reparti dell'esercito italiano che ancora era schierato in combattimento. Avevamo, sia pure confusamente, la coscienza che il nostro Paese, la nostra gente sarebbe stata giudicata anche da come sapeva combattere e morire.
Solo così si può spiegare il fatto che uno dei miei paracadutisti (il Cap.le Magg. Zaccagna) mandato a proteggere con altri il fianco del plotone all'attacco, sentendo il rumore del combattimento intorno alle case, mi raggiunse e, scusandosi, mi chiese di poter restare là dove si combatteva e moriva (dopo alcune ore la morte lo ghermiva, infatti, durante il contrattacco tedesco). Solo così si capisce perché alcuni dei nostri"si sono buttati avanti, senza neppure attendere l'ordine di entrare nelle case e sono stati falciati dai mitra tedeschi. Solo queste motivazioni possono spiegare perché si combatté di stanza in stanza, per ogni metro dei corridoi ed alcuni (il S.Ten. Benelli e il Serg. Redi) sono caduti avvinghiati al corpo di un nemico reciprocamente uccisi a colpi di pugnale e raffiche di mitra. Ed era un nemico che non consideravamo tale. Si è combattuto a Case Grizzano senza odio, anzi animati da reciproca stima e rispetto.

Paracadutisti noi, paracadutisti loro. In Africa si era combattuto fianco a fianco. Il 19 Aprile gli uni contro gli altri,facendo quello che si riteneva fosse il proprio dovere."
 

La cerimonia si è conclusa con un rinfresco all'interno del Palazzetto dello Sport e con il pranzo di Corpo organizzato al "Ragno d'Oro" di Villa Vicentina,durante il quale, come sempre, si sono rafforzati i vincoli di affetto, amicizia, cameratismo che tengono sempre uniti gli uomini del Nembo.

 

ORA E SEMPRE NEMBO !!!!!!!!!

 


On. Prof. Lanfranco ZUCALLI

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